Muri nell’anima

Venti d’amore (pagg 140-141)

Kampala (Uganda-Africa). I sette colli sono l’unica cosa in comune con Roma, anche se qui non sembra di essere in Africa. Una collina fatta di belle case, giardini, alberi, tutto verde e rigoglioso. Osservando meglio però, mi colpisce vedere tutte le case con muri alti, recinzioni, filo spinato o vetri rotti in cima per impedire lo scavalcamento. Cartelli indicano su ogni cancello che la casa è sorvegliata. Comprendo presto che nella zona ci sono Ambasciate e Congregazioni, insomma è un quartiere “bene” di Kampala. Tutto blindato, tutti tappati in casa. Anche noi. “Attenti ad uscire all’imbrunire” – ci dicono – “Ci sono molti pericoli”. In effetti, di giorno mi accorgo che attorno a questa bella collina c’è un bel degrado. C’è la Kampala vera. La città africana, coi suoi contrasti, la sua vitalità, il suo brusio, la sua gioia in mezzo alle sue sporcizie. Volteggiano i suoi marabù, specie di gru che, come i gabbiani a Roma, rovistano tra i rifiuti col loro becco sproporzionato. Ricordano anche certi sciacalli politici che rovistano tra le nostre paure, sfruttandole per nutrirsi di potere o avvoltoi che vivono della morte altrui, volando alti in attesa dell’ignaro pasto.

 

Dopo qualche settimana, andiamo in Kenya. Karen, periferia sud Ovest di Nairobi, dove viveva Karen Blixen, quella de “La mia Africa”. Bianca. Infatti, qui ci sono tutte ville bellissime, Organizzazioni, Ong, scuole e bianchi ricchi, discendenti forse dei vecchi colonizzatori. Oppure nuovi colonizzatori. Una bella e ordinata (insolita) Africa. Ville e case blindate, muri altissimi, non si vede nulla al di là. L’immaginazione spazia, chissà quale lusso e felicità ci sarà dall’altra parte del cancello. Ovviamente guardato da personale armato, come le guardie giurate nei nostri supermercati o davanti alle banche. A difendere…soldi. Ci dicono: ”Attenti, non andate in giro per la strada all’imbrunire, è pericoloso. Qui fanno agguati continuamente, anche a noi Africani”.

La stessa cosa che mi hanno detto a Kampala. La stessa cosa che mi diranno in molte altre zone che ho visitato.

 

Ho visto case delle organizzazioni che erano lì per aiutare la gente, ma avevano gli stessi muri e filo spinato. Certo che devono difendersi dai furti; ma nell’inconscio collettivo quei muri… sono muri. I bianchi, i ricchi che si difendono. Anzi, difendono le loro ricchezze.

E sono assediati dalla massa di bisognosi che preme e li osserva da fuori. Un benessere ben protetto, che genera desiderio, separazione. Associata a questa apartheid, l’arroganza del ricco che ostenta la sua ricchezza o presunto benessere, genera anche invidia e desideri di rivalsa.

 

L’immagine che vedevo coi miei occhi lì, mi rimandava al nostro occidente. Allora, guardando quelle recinzioni pensavo più al terrorismo, risposta sbagliata indotta anche dalla nostra arroganza. Oggi viviamo proprio la stessa situazione, in modo globale. Allora c’erano già diversi muri nel mondo, ma negli ultimi cinque anni essi sono cresciuti in modo esponenziale, per difendersi sempre più dalle ondate migratorie. Pensa all’Ungheria o alla Bulgaria qui da noi. O al confine Usa-Messico. Ci sono 70 muri in giro per il mondo: mentre festeggiamo i 30 anni della caduta di quello di Berlino ne abbiamo costruiti altri. Te ne sei accorto?

Ci sentiamo assediati. Alziamo muri per difenderci dall’immigrato che ci spaventa, ma non ci rendiamo conto che stiamo difendendo il nostro orticello, usando i fatti per nutrire le nostre paure o i nostri meccanismi di difesa. Alziamo muri, barriere, non solo fisiche, e facciamo “salotto” sul tema immigrazione. Senza renderci conto di che cosa stiamo difendendo.

La paura è una sensazione che si causa quando la forza di identità, le energie personali, il fuoco delle proprie forze, inconsciamente non li sentiamo più; dunque temiamo che altro da fuori ci sopraffaccia. Il panico, che si diffonde, è conseguenza di un indebolimento dell’identità. Per non temere, ci difendiamo. Internamente. Da tutto. Dentro casa. Nella nazione.

Lo so, magari fosse così facile risolvere tutto; fatto sta che nel 2000 vedevo queste cose e riflettevo così, ed oggi osserviamo dal vivo questi scenari di paura e viviamo questi fatti.

 

Davanti a questa guerra che costruisce trincee dietro ai muri dell’anima, incoraggiante è il lavoro missionario in corso sul “fronte italiano”: per il recupero di sane relazioni con sé e con gli altri ed il collegamento con Dio e col Sud del Mondo. Oltre ad aiutare gli italiani a ritrovare un po’ di normalità di relazioni e solidarietà, alzando lo sguardo oltre il proprio naso, effettivamente sta aiutando a far restare le nostre famiglie del Sud del Mondo “a casa loro”. Non perché non li vogliamo… sono loro che non ci pensano proprio a venire qui! Ad ammalarsi di depressione o di obesità, a parlare coi cani anziché coi vicini… piuttosto pensano a venire qui per darci una mano. A ritrovare relazioni, vivacità e gioia. Che avendo alzato muri non riescono a rientrare nelle nostre case.

 
 

Bambino di tipica razza umana

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